La cura delle donne

Per la giornata internazionale della donna, la cosiddetta “festa delle donne”, Luigi Genesio Icardi, assessore alla sanità del Piemonte, ha fatto gli auguri alle dipendenti del settore della sanità con le seguenti parole: “avete dimostrato, anche nei momenti più duri dell’emergenza sanitaria, che la particolare sensibilità che contraddistingue il genere femminile ha saputo fare la differenza”. Ad una prima lettura potrebbe sembrare un bel pensiero, se non fosse che in una frase ha espresso appieno il sessismo che contraddistingue la nostra società, e che è ancora più palpabile nell’ambiente sanitario. La donna da sempre è considerata come colei che si prende cura: della casa, dei figli, del marito, dei genitori e degli altri in senso lato. Florence Nightingale, la prima vera infermiera (inteso come professionista che basa le sue azioni su degli studi finalizzati al benessere delle persone), non per niente era una donna. Si parla di circa metà 1800, la società era diversa, e a modo suo lei è una grande femminista. Incita le donne benestanti, che normalmente avevano come unico obiettivo quello di sposarsi, a studiare e lavorare come infermiere. Solo fino al matrimonio, ovvio, perché poi non è più consono. Lei stessa rinuncia all’amore e vive da sola fino alla morte, perché afferma con convinzione che un’infermiera debba dedicarsi completamente al lavoro, esservi devota. Nessuno ovviamente lo chiedeva ai medici, tutti uomini. I tempi sono cambiati, al giorno d’oggi per fare l’infermiere bisogna laurearsi e non è richiesto il celibato, anzi addirittura nel 1971 è stato permesso anche agli uomini di  studiare per diventare infermieri professionali. Tutto ciò potrebbe sembrare sessismo al contrario, se si ignora il nocciolo della questione: la donna ha il compito di accudire, e solo a lei spetta. Nascosto dietro false lusinghe, dietro una presunta particolare sensibilità, si relega la donna a figura di cura. Anche da un medico donna ci si aspetta più empatia e dolcezza rispetto a un medico uomo, e anche un aspetto curato. Eppure ora che anche gli uomini fanno gli infermieri, perché continua ad aleggiare sul genere femminile lo spauracchio della naturale propensione all’accudimento? Non ci sono forse molteplici esempi di uomini molto più portati e di donne che invece abbandonano coloro di cui sono responsabili per egoismo? La battaglia delle donne della nostra epoca allora forse è proprio questa: rimanere se stesse senza trasformarsi in quello che Virginia Wolf chiamava “l’angelo del focolare”. Sorridere solo se ci va di farlo e non per educazione. Parlare in maniera assertiva senza sensi di colpa. Riconoscere il nostro valore e non farci sminuire da nessuno, neanche per prenderlo alla sprovvista.

E’ una battaglia quotidiana perchè ci obbliga a metterci perennemente in gioco, senza nasconderci dietro “trucchetti” imparati insieme al parlare e al camminare, come il sorridere sempre, soprattutto quando si parla con un superiore, mostrarci dolci e docili, disponibili e materne. E’ così insito nel modo di essere di molte donne che è difficile riconoscerlo, bisogna impegnarsi, esaminarsi, riflettere e mettersi in gioco. La strada per ottenere qualcosa che valga la pena avere è sempre tortuosa, ma una volta in cima osservare il panorama ripaga di ogni sacrificio. Per cui io questa strada la voglio imboccare, consapevole che non sarà semplice uscirne e che mi ritroverò faccia a faccia con le mie ipocrisie, e le accetterò così come sono (o forse no?) e ne uscirò vincente.

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