Follia e patriarcato

I programmi scolastici e universitari, come possiamo notare, hanno pochissimi nomi femminili.

Il numero delle scrittrici è esiguo e a esse si attribuisce scarso valore. Da parte mia ho sempre tentato, tramite spazi virtuali e fisici, di restituire voce alle donne e di consigliare autrici dimenticate, appunto, dal canone.

Da pochi giorni, mentre scrivevo la mia tesi che verte sulla cancellazione sistematica femminile, ho scoperto una nuova autrice e sento di consigliarvela caldamente. Mi riferisco, nello specifico, a Charlotte Perkins Gilman. Fu una economista, sociologa e poeta. Diede un grande contributo al femminismo del tempo. Tra i suoi scritti vi esorto a leggere La carta da parati gialla, brevissimo racconto scritto nel 1890 ma pubblicato due anni dopo, nel 1892.

La storia verte su una giovane donna, moglie e madre. Ella vive una forte situazione di disagio.

La condizione femminile del tempo non le permetteva di avere un ruolo in ambito sociale e artistico e la protagonista, pian piano, perde la sua luce, tanto da indossare, come si evince anche verso la fine del racconto, la maschera della follia.

La follia, in tempi passati, veniva semplicemente vista come qualcosa da debellare, una situazione disdicevole. Nessuno, però, si soffermava sulle motivazioni che spingevano queste donne a un abbandono della propria sanità mentale. Elaine Showalter – studiosa e femminista – sostiene che le femmine, prive di possibilità, perdevano sé stesse mentre tentavano, invano, di manifestare il proprio io interiore. Non riuscendoci nell’effettivo, a causa dell’oppressione femminile che portava le donne a vedersi solo come semplici e mere figure di famiglia, queste giungevano in uno stato pietoso e i medici non erano in grado di dare loro ausilio come avrebbero meritato.

Mentre leggevo il racconto di Gilman, mi è tornato alla mente anche La campana di vetro, romanzo della celebre poeta Sylvia Plath. La protagonista, Esther, avverte un profondo dolore, la volontà di staccarsi da una vita che non le regala gioie, chiusa in uno spazio (la campana, appunto) che la soffoca senza possibilità di fuga. Anche Sylvia Plath, dunque, mostra la tristezza femminile e offre, al lettore, uno spaccato sofferto circa la società del tempo, restio a comprendere la follia e i sentimenti femminili.

Esther, in realtà, è Sylvia. La protagonista del racconto – come, del resto, avviene anche con Gilman – rappresenta, su carta, i dolori della scrittrice che visse una esistenza travagliata.

La lettura di questo racconto e il ricordo del romanzo della Plath mi hanno spinta a pensare molto. Mi si stringe il cuore a pensare che, per secoli e ancora oggi, molte donne non hanno avuto modo di esprimere sè stesse senza gabbie sociali ad avvincerle. La libertà avviene tramite il femminismo. Il movimento ci spinge ad accogliere noi stesse, a setacciare gli angoli oscuri del patriarcato e a rivendicare il diritto di esistere.

Carico mentale e donne

                                                               

Qualche giorno fa mi è tornata alla mente una puntata de “L’amica Geniale”, serie andata in onda su Rai uno e che nasce dai famosi romanzi di Elena Ferrante. Nell’ultima stagione, Lenù partorisce la sua prima figlia e, una volta tornata a casa, si sente molto sola. Il malessere si origina da un fattore ben preciso: il marito non vuole aiutarla, sostenendo – in modo velato e subdolo – che l’accudimento della bambina sia una questione tutta femminile; di cui lui, di certo, non può occuparsi. Anche quando la moglie gli chiede un ausilio esterno – cioè una persona che possa badare alla casa e alla piccola – il coniuge appare contrariato, incapace di comprendere il dolore della moglie, etichettando il suo malessere come superficiale capriccio. Lenù, però, saprà imporsi e, nel ricordare che non è una schiava, avrà ciò che giustamente pretende.

Mi sono chiesta, quindi, se noi tutte siamo come Lenù e, con mio sommo rammarico, mi sono resa conto che la risposta è affermativa. Possiamo identificarci in lei: la maternità in Italia sembra un peso solo delle donne che non solo a casa si sentono “perse” ma che, magari, perdono anche il lavoro per il desiderio di avere un figlio.

Ancora oggi, nonostante i grandi progressi fatti, il carico mentale è maggiore nelle donne che negli uomini. Si fa ancora molta fatica a riconoscere il peso che grava sulle femmine, si finge di non notare come queste siano sommerse dal lavoro domestico e si crede che solo loro debbano occuparsi dei pargoli. Sebbene oggi la situazione stia migliorando e le coppie riescono a dividersi il lavoro, ancora permane una mentalità piuttosto obsoleta e malsana.

Questo genera non soltanto grande frustrazione e stanchezza nelle donne, ma il ruolo del padre viene svilito, visto come un mero orpello aggiuntivo alla famiglia. E, in tutto questo, a risentirne è anche il bambino che non avrà una figura paterna presente e capace di aiutarlo nel quotidiano. E non solo: non avrà una madre serena, ma sfinita dal duro lavoro.

La nostra società ha – per tanto tempo – creato un modello patriarcale che vedeva al vertice l’uomo e la donna in basso, relegata in un angolo piccolo e stretto. Per secoli, le mansioni domestiche e la gestione dei figli erano prerogative materne. Il retaggio culturale è sicuramente forte e ben radicato ma dobbiamo distaccarcene una volta per tutte.

A proposito di carico mentale e di come le donne – oggi – siano in balia di pensieri tanto malsani, non posso non segnalare una bellissima graphic novel dal titolo Bastava chiedere, dieci storie di femminismo quotidiano dell’autrice francese Emma. La scrittrice, con fare ironico e leggero, riesce a raccontare le contraddizioni interne della nostra società e a mostrare il dolore alla quale sono sottoposte le donne. Crea una riflessione molto introspettiva e ampia: è un testo che spiega e non condanna, desidera solo mettere in luce le problematiche esistenti.

Sono certa che, tramite questa lettura, il discorso appena fatto sarà più comprensibile. Vi esorto a regalarlo a molte persone: più si legge e capisce, meno si soffrirà in futuro.

3 audiolibri per il femminismo

In questo periodo frenetico – fra tesi e studio disperato – non sono riuscita a immergermi, come avrei voluto, in romanzi e saggi femministi. Ho avuto, però, un aiuto piuttosto importante: mi riferisco, cioè, agli audiolibri, strumento indispensabile per chi desidera lasciarsi cullare dalle parole e non abbandonare, totalmente, i libri a causa della vita frenetica.

Gli audiolibri sono un mezzo per colmare i vuoti della giornata, trascorrere un momento tutto per sé e avere, nelle cuffie e in ogni luogo, un po’ di cultura da udire. Vorrei segnalarvi, quindi, dei testi che ho trovato molto piacevoli e utili. Spetta a voi, ovviamente, scegliere se ascoltarli oppure comprare i libri ed effettuare una lettura più canonica.

  • Stai zitta, Michela Murgia

La scrittrice, in un saggio ben strutturato e interessante, spiega come, molto spesso, noi donne veniamo silenziate dagli uomini. Ella ci ricorda di come, in una società fortemente maschilista e in cui vige ancora una cultura ancorata profondamente al patriarcato, le femmine non riescano ad avere voce continua e, anzi, non vengano prese sul serio. Vige ancora lo stereotipo che gli uomini abbiano maggiori competenze rispetto a noi: un pensiero obsoleto e falso ma, purtroppo, considerato vero. Il saggio va molto oltre il concetto di “silenzio”. Nel libro vengono affrontati disparati temi, tanti dei quali sono fonte di riflessione sia per gli uomini – che sono in balia dei loro pregiudizi e non riescono a guardare oltre (non sempre, almeno) – sia per le donne che, forse, faticano a guardare in faccia la realtà.

  • Senza Rossetto, Giulia Cuter e Giulia Perona

Le due scrittrici raccontano la società in cui viviamo, ricordandoci come il reale sia ancora piegato a regole patriarcali in cui le donne faticano a emergere e ad avere diritti fondamentali. Tra i vari capitoli, ho trovato interessante, ad esempio, quello relativo all’aborto. Nonostante in Italia esista la 194 – legge che tutela la libertà di autodeterminarsi e interrompere per scelta la gravidanza entro tre mesi – le scrittrici ci spiegano come, ancora, i medici e i farmacisti obiettori siano innumerevoli, impedendo – rispettivamente – gli aborti e la vendita delle pillole del giorno dopo. Sicuramente è un saggio leggero nella costruzione dello stile e del linguaggio ma profondo e veritiero negli argomenti trattati: consigliatissimo.

  • Appunti sul dolore,  Chimamanda Ngozi Adichie

Ho avuto modo di leggere molti libri scritti dalla Adichie e la trovo una mente brillante, capace di rivoluzionare il pensiero comune sulla società odierna. I suoi testi, tra l’altro molto noti, hanno aperto la strada a un femminismo sano. Il libro consigliato, invece, si discosta dall’ideologia, offrendo un’immagine unica e intima della scrittrice: ella racconta, in toni sofferti e con una lucidità disarmante, il dolore provato dopo la morte del padre. Chi ha subito un grave lutto in famiglia, saprà specchiarsi nelle sue dolci parole, nella tristezza originata da una perdita che non si riesce mai a colmare. Il libro, toccante e delicato, restituisce un’immagine in cui rivedersi. Tramite la sua narrazione breve ma intensa, si riesce a elaborare, insieme a lei, il suo e il nostro dolore.

Questi erano i testi consigliati. Io spero possano essere di vostro gradimento! Fateci sapere!