Post elezioni

La democrazia è svegliarsi un lunedì mattina e trovarsi improvvisamente in un paese che sarà presto governato dalla destra e ponderare se è il caso di diventare una suddita del neo Re Carlo III.
La democrazia è vedere con profondo sconforto che l’affluenza alle urne è ai minimi storici e che molte persone con diritto di voto hanno scelto di non andare alle urne. Delusi dai politici? Dalla politica? Convinti che andare a votare non serva a nulla o semplicemente stanchi di votare il meno peggio?
Democrazia è accettare i risultati e leggere che a seguito di questa vittoria diversi individui si sentono di poter scrivere che “è finita la pacchia” che è ora di “riaprire i forni” e “donne tornate a casa perchè quello è il vostro posto”. Persone che si esprimono con tanti di quegli errori grammaticali che sono venuti gli sgrisori (tipico termine Reggiano) persino alla mia gatta.

Democrazia è anche vedere con orgoglio che la mia regione ha la percentuale più alta di votanti, che la mia provincia ha una percentuale molto alta di votanti e persino il mio paesello ha una percentuale dannatamente alta di votanti.

Democrazia è sapere che, anche se questo lunedì è stato tosto, non si molla di un centimetro sulle cose importanti. Noi RESISTEREMO e LOTTEREMO per i diritti delle donne e in particolare perché possano fare quello che vogliono con il loro corpo, perché riescano ad esercitare i diritti previsti dalla Legge 194 in modo agevole. Non molleremo di un centimetro per far riconoscere i diritti della comunità LGBTQ+, per togliere l’anacronistica divisione “uomo” e “donna” dalle liste elettorali, per permettere ad ogni bambino abbandonato di avere una famiglia che gli vuole bene e lo ama. Non molleremo un centimetro nel difendere le persone che hanno bisogno di aiuto e non chiuderemo gli occhi o guarderemo da un’altra parte in caso di bisogno. Non permetteremo che i valore di una donna venga basato sulla sua capacità di procreare o di gestire e accudire casa e famiglia.

La democrazia è accettare il risultato di queste votazioni, rimboccarsi le maniche e continuare a cercare di dare il proprio contributo sapendo che tante gocce possono fare la differenza.

Quindi, mi spiace Re Carlo III, resto qui a casa, in Italia, per cercare di renderla un posto migliore.

LA TRAPPOLA DEL LAVORO DI CURA

Intervista a Francesca Bubba

Stiamo molto parlando di come il carico mentale ed il lavoro di cura, ovviamente non retribuito, che grava culturalmente sulle spalle delle donne, stia alla base della disparità di genere in particolar modo nella società italiana.

Volendo riflettere ulteriormente sulla questione, ho proposto a Francesca Bubba, attivista e divulgatrice per i diritti delle donne, delle madri e delle lavoratrici, che tocca temi da prospettive che mi hanno personalmente allargato l’orizzonte, di parlarne con noi.

Da dove nasce la tua attività?

“Il mio lavoro di divulgazione nasce da un’urgenza. Sono cresciuta in un paesino di 6000 anime in cui le cose che avevo da dire sembravano sempre fuori luogo. Poi mi sono trasferita a Roma e lì invece avevo la sensazione che la mia voce si disperdesse nel caos della metropoli. Tre anni fa quindi, ho aperto Instagram e ho sentito finalmente di avere l’opportunità non solo di far sentire la mia voce, ma di farla valere!”

Ti ho seguita per un po’ e mi ha colpita il fatto che il punto focale della tua protesta sia proprio il riconoscimento del lavoro di cura non retribuito a carico delle donne. Se è un lavoro, come fare perché la società lo riconosca e si smetta di approfittare del nostro senso di colpa?

“Ho creato un campagna in cui chiedo che venga riconosciuto un salario al lavoro domestico e all’atto di cura, con tanto di indennità di privazione del sonno. La mia campagna tocca tantissimi punti: ne racconto un paio. Le donne lavorano di più e guadagnano di meno (circa il 20% in meno!) e la mancanza di salario per il lavoro domestico è stata anche la maggior causa di “debolezza” della figura della donna sul mercato salariato. I datori di lavoro sanno che siamo abituate a lavorare per niente e che abbiamo un tale bisogno di avere soldi nostri, che pensano di poter assumerci a prezzi più bassi dando a questa consuetudine un’apparenza di naturalezza (femminilità).

Discorso analogo per la questione del multitasking, spacciato per virtù tipicamente femminile, metre invece si tratta letteralmete di un caratteristica dei software. Eppure ecco che la donna, secondo la società patriarcale, passa con eleganza da una faccenda domestica ad una pratica d’ufficio, metre distribuisce carezze al marito. Sorridendo, naturalmente.

Siamo nate per questo e siamo più belle quando sorridiamo, no? (ndr)

Oppure, se le donne non hanno un lavoro fuori casa ma si occupano di quello domestico a tempo pieno, vengono viste dalla società come delle nulla facenti, delle parassite, delle mantenute. Questa narrazione ci espone ad una vulnerabilità che non ci appartiene.

Illustrazione manifesto della campagna di Stefano Pullano

Il lavoro domestico è, in tutto e per tutto, lavoro non retribuito e noi siamo, in tutto e per tutto, lavoratrici non salariate.

Per non parlare del discorso maternità…

“Crescere un figlio o una figlia è oggi un ruolo di enorme responsabilità sociale.

Bellissimo, ma stancante.

Riconoscere un valore economico a tutto questo significa riconoscerne il valore sociale.

Inoltre, la privazione del sonno è una difficoltà enorme di cui non si tiene conto e ritengo assurdo che le persone non dispongano di aiuti e supporto per una condizione in cui incapperanno con una probabilità davvero alta. Atti quotidiani come guidare la macchina o pensare lucidamente, quando non dormi da mesi diventano attività acrobatiche. Ma più sacrificio più amore giusto?… No.

Le neo mamme inoltre, sono sempre meno tutelate in uno dei momenti di vita di estrema difficoltà che è il post partum, e questo rappresenta una delle origini della coercizione patriarcale che sfocia nella violenza economica da cui è difficilissimo uscire senza una rete di sostegno e una garanzia di sostentamento.

Perciò cosa possiamo fare?

Abbiamo una proposta di legge perfetta (grazie a Camilla Fasciolo dello Studio legale Fasciolo): dieci promotori e promotrici si stanno preparando a presentarsi in Corte di Cassazione per farla validare per poi passare alla raccolta firme. Nel frattempo stiamo partecipando al bando per le pari opportunità oltre ad intensificare la campagna di sensibilizzazione sui social.

Ph. Antongiulio Borrelli

Fare squadra, tra donne e con gli uomini è la via per il femminismo moderno?

“Sì, trovo che fare rete sia fondamentale per riuscire ad arrivare ad un mondo più equo. Tutti e tutte abbiamo bisogno di tutte e tutti e la nostra lotta deve iniziare dai nostri automatismi e dai nostri privilegi. Solo insieme possiamo farcela.”

Se volete approfondire o seguire la campagna trovate Francesca Bubba su https://instagram.com/francecsa_bubba

Il linguaggio inclusivo, non viene incluso!

Alla fine dello scorso mese l’aula del Senato ha respinto l’emendamento della Senatrice Maiorino che chiedeva la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. La proposta ha ottenuto 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti. Il voto è stato segreto, quindi non possiamo sapere chi non ha votato a favore, a meno che non lo dichiari magari in un’intervista … vera o di fantasia!

Per giorni ho letto articoli, post, guardato video, ma proprio non sono riuscita a capacitarmi del perché sia avvenuta una cosa tanto anacronistica.

Ho fantasticato per giorni su quali potessero essere le motivazioni per cui votare no o addirittura astenersi, quindi una mattina a colazione ho dato il via ad un dibattito nel bar che frequento e dove conosco praticamente tutti gli avventori abituali di quell’orario: c’erano sia uomini che donne dai 40 anni fino agli 80. Quel che ne è emerso ha generato l’idea di riassumere il tutto in un’intervista di fantasia a due Senatori, uno che ha votato contrario e uno che si è astenuto.

Il parallelo è stato immediato, in quanto purtroppo siamo rappresentati da una classe politica che spesso incarna le chiacchere, sicuramente eterogenee, ma altrettanto becere di un bar.

Il primo Senatore, Ginetto, detto Giné, Miseo (chi ha studiato greco non me ne voglia per il gioco!) ha dichiarato di aver votato contro l’emendamento.

“Buongiorno Senator Miseo, posso farLe qualche domanda in merito alla votazione sulla parità di genere nella comunicazione istituzionale?”

“E perché viene a intervistare me? Perché ho votato contro? Pensa che io sia un maschilista? Io amo le donne! Certo sono un conservatore ma, voglio dire, non lo sa che il mio partito ha una presidente donna? Vada da quelli del PD, che magari scrivono “senatrice” ma è di dominio pubblico che nel loro partito il potere alle donne viene concesso centellinato, controllato e solo per premiare l’estrema fedeltà.”

“Senatore, non me ne voglia, ma Lei ha dichiarato di aver votato contro e quindi vorrei darLe l’opportunità di spiegare quali siano le Sue motivazioni.”

“Le motivazioni? Certo che gliele spiego. In Italia i problemi sono altri e ben più seri della “forma” con cui vengono scritti i documenti, ma se proprio di questo vogliamo parlare, lo sa che l’analfabetismo funzionale è dilagante? E cosa dovremmo fare? Complicare ancora di più le cose inserendo parole cacofoniche e inusuali?”

“Mah Senatore, l’analfabetismo funzionale esiste da molto tempo, è che ora attraverso la rete ha semplicemente trovato un megafono”

“Ah lei pensa questo? E’ tutta colpa della rete? A me non sembra proprio. E dunque non si rende conto che la lingua si sta trasformando, portando con sé un impoverimento lessicale e l’utilizzo di parole sempre più standardizzate, con un incremento e uno sdoganamento addirittura del turpiloquio persino in televisione? Ma Lei li vede i social? La guarda la tv? In che modo può essere collocata questa complicazione della declinazione femminile, tra l’altro non necessaria, quando dobbiamo rinforzare la conoscenza e l’uso dell’italiano di base?”

“Senatore concordo con Lei, che la scuola ha necessità di riforme, di aggiornare e potenziare sia la formazione degli studenti che quella degli insegnanti, ma consideri che l’introduzione della teoria delle argomentazioni nei programmi scolastici è ancora poco diffusa e di sicuro il turpiloquio è il primo rifugio di chi non sa argomentare.  I social dove le persone non sono faccia a faccia lo agevolano sicuramente, ma il vostro ruolo istituzionale dovrebbe essere un faro, dovrebbe essere d’ispirazione per il popolo, non trova?  Le riforme rispetto alla parità di genere sono fondamentali e ormai più che necessarie. Non pensa che la classe politica italiana sia ancora una classe di uomini bianchi, mentre il Paese è un altro, e questa mancanza di rappresentazione sia un problema sistemico e non è di certo colpa di chi non viene rappresentato?”

“Guardi Signora o Signorina non so, Lei sta manipolando questa intervista per farmi passare per un ignorante maschilista, se vuole usare paroloni li so usare anch’io il femminismo di Stato mette al centro la pratica della spartizione e della rivendicazione di quote, nient’altro. Tutto molto poco trasformativo e intrinsecamente subalterno. La naturale conseguenza è l’indignazione, come la sua, una postura che di nuovo lascia esattamente tutto com’è. La lascio citando Harvey Mansfield, emerito Professore di Filosofia Politica ad Harvard “Le differenze tra uomini e donne devono rimanere tali. Storicamente tutte le società sono state governate da uomini, unica eccezione la regina Elisabetta …  le femministe mi fanno sempre perdere la pazienza. Sono così intolleranti” e aggiungo io, in particolare in questo momento storico, con i problemi come la guerra in Ucraina, la crisi energetica, il caro bollette, il Covid e la sanità. La saluto.”

“Senatore Antonio Pazzi, non scappi via, permette una domanda? Lei si è astenuto dal voto per la parità di genere nel linguaggio istituzionale…”

“Io? Astenuto? Mah io questo non lo credo.”

“Ma come Senatore lo ha dichiarato lei.”

“Ah, sì, via astenuto, non avendo un’idea chiara perché troppo impegnato in altri ben più seri problemi che affliggono l’Italia, ho preferito lasciar spazio a chi sa.”

“Ma come Senatore non ha un’idea chiara, che cosa significa? Che cosa non ha capito?”

“Ohhh. E mi lasci stare cosa vuole che le dica?”

“Senatore, niente di più o di meno di quello che pensa al riguardo.”

“Beh se proprio lo vuole sapere io un “farmacista” non lo chiamerò mai “farmacisto”, non violenterò mai la lingua italiana che è tra le più belle al mondo.”

“Ma Senatore, che esempio è? “Farmacisto” non è italiano, la parola “farmacista” è uguale sia al maschile che al femminile…”

“Ah si? Io non lo credo questo e comunque io mi faccio gli affari miei.”

THAT’S ALL FOLKS!

P.S.

Non me ne vogliate, è satira! (Forse!)