Little Girl Blue

I know you feel that you’re through | oh wah wah ahh sit there, hmm, count | ah, count your little fingers | my unhappy, oh little girl, little girl blue, yeah | oh sit there, oh count those raindrops | oh, feel ‘em falling down

Oggi ospitiamo una bio della grande Janis Joplin, scritta da Valeria.

Janis “Little girl blue” Joplin è un nome impresso nel cuore di ogni amante della musica. Figlia degli anni quaranta e di quell’America al galoppo della Summer of Love, dell’amore libero e della fame di pace e magia e delle droghe sintetiche e del forte ruggito della musica rock, di quel palcoscenico chiamato “Woodstock” che, più di ogni vagito politico, ha suturato di fiori le labbra dell’America gettandola in una ferita soave, trascendentale e significativa; Janis è quella ragazza butterata dall’insicurezza e dal genio femminile che, durante la guerra ai suoi demoni personali, si ritrova a tessere inconsapevolmente un’aura femminista iconica e rockeggiante: l’anatroccolo confuso e la metamorfosi in pavone ferito. 

Janis nasce a Port Arthur (TX). E’ una bambina bianca della middle-class con una voce tradizionale da soprano (ereditata dalla madre) che si appassiona alla musica “dei neri”. Quella melodia anziché aiutarla a socializzare la isola ancora di più in quel quartiere benestante. Abituata alle attenzioni deliziose del padre e la madre, non riesce a riscattarsi in positivo con l’arrivo dei due fratelli minori quando ormai ha sei anni compiuti; di fatto, Janis comincia ad assumere atteggiamenti da tomboy e da ribelle, portando la madre a risentirsi per le aspettative “femminili” che si era immaginata per la primogenita.

La scuola è velenosa, la ostracizza e la rende impopolare: “ugly duckling” “weirdo” “whore” “pig” – questa è Janis per I coetanei – “brutto anatroccolo” “svitata” “puttana” “maiale” – colpita dalla violenza dell’acne e dal sovrappeso che sembra autorizzare I ragazzini a lanciarle addosso delle monete, come se dovesse elemosinare la bellezza per essere accettata dai colleghi studenti. Scivola nell’oblio, ingolla alcool e anfetamine, erutta nel nomadismo non appena un gruppo di ragazzi ribelli entra nella sua vita, e fugge; fugge dal Texas cercando rifugio nella libera California. Numerose sono le lettere che la sorella ed i genitori ricevono da Frisco. Janis inzuppa I fogli di racconti, ci tiene ferocemente ad avere il consenso dei genitori, di essere “approvata” ed “accettata” cosa che Seth e Dorothy Joplin fanno costantemente seppur preoccupati per la sempre più crescente fama di “speed freak” e di accanita bevitrice di Southern Comfort (alcolico che diventerà fedele servitore della Regina del Blues) si è guadagnata.

Lasciata trafelata dalla vita adolescenziale, non ha mai mezze misure: persino la cerchia di amici si impressiona per l’uso smodato di narcotici e su come va infierendo sul proprio corpo alla spasmodica ricerca di quiete e felicità. Inizia quindi una rincorsa alla “riabilitazione” dalla tossicodipendenza, torna a casa e si iscrive all’università (antropologia) dopo aver perso tantissimo peso. Ma l’idillio dura poco: gli studi la riportano ancora una volta a confrontarsi col prossimo, al bullismo, all’essere chiamata “il più brutto uomo del campus”. Janis ripiomba nella droga e nell’alcool. Si infila in una relazione (con un tossicodipendente da eroina) che la porta ad un passo dai fiori d’arancio e dal vestito di organza ma, come in una brutta favola, viene lasciata poco prima del matrimonio a causa dell’arrivo di un figlio extra coniugale. Janis è nuovamente sola, drogata, alcolizzata, piena di voglia d’essere come le sue eroine Bessie Smith e Ma Rainey. Nulla si confà a Janis comodamente: né la fama né lo status di celebrità che pian piano ha raggiunto, ululando solitudine, strizzando l’anima dalla gola cantando; Janis è un edonista ribelle e vulnerabile, dalla presenza eccentrica ed ingombrante – impossibile non notarla con il boa piumato addosso, gli occhiali dalla montatura tonda e colorata, I capelli pazzi come un alveare in rivoluzione – ed è anche terribilmente sola. La sua voce, roca e cruda, si connette al mondo circostante in un battibaleno durante gli shows. La donna va in visibilio sibillino, una trance che la lascia psicologicamente galleggiare sul pelo d’acqua dolce… ma poi? Poi c’è la depressione post-concerto, una depressione simile al post-partum.

Sul palco, scopo con 25.000 mila persone diverse, poi vado a casa da sola

Dice tetra, con un mezzo sorriso annacquato dall’alcool in una delle ultime interviste. Lungo la sua (breve) vita, Janis ha perfezionato l’immagine di “Mamma del Blues”, una donna selvaggia che srotola le emozioni e si fa possedere da esse, che canta da posseduta e poi si chiude dietro una porta oscura, imbottita di timidezza e rammarico. E così, a ventisette anni, Janis Joplin scappa dalla vita dopo essersi iniettata, inconsapevolmente, una dose pura d’eroina. Cade dal letto in overdose e si rompe il naso. Viene trovata così: naso fratturato, labbra sporche, viso incerto ed un braccio leso. Buon compleanno, Little Girl Blue.

L’eredità di Coco Chanel

50 anni fa, il 10 gennaio 1971, moriva a Parigi “Coco” Chanel, donna che ha cambiato per sempre l’estetica e i gusti delle donne dello scorso secolo, e la cui eco riecheggia ancor oggi nel panorama sempre più vasto delle aziende di Moda. 

Gabrielle Bonheur Chanel fu una donna che, nata in povertà, riuscì a riscattarsi grazie alle proprie capacità e alla propria attitude. Era una donna forte, emancipata, che scelse il lavoro e l’ambizione invece che l’amore. Di certo non si può negare che la sua fortuna, oltre che dalla sua creatività, dipese anche dagli uomini che credettero nel suo talento e lo incoraggiarono, finanziandolo e aprendole il mondo dell’alta borghesia Parigina tramite la propria rete di conoscenze. 

Ma la creatività, quella no, non si può comprare, e, paradossalmente, Madamoiselle Chanel ne aveva da vendere. Le sue necessità di comodità, legate ad una vita all’aria aperta dedicata agli sport come l’equitazione, il golf, il nuoto, divennero desiderio delle ricche signore, fino ad allora costrette in rigide strutture che sostenevano abiti scomodi e pomposi. 

Agli abiti, dalle linee comode e semplici, dopo la depressione successiva al crollo di wall street, propose in abbinamento bijoux come spille e collane realizzate con catenelle dorate, perle finte e cristalli di vetro.

Nel 1922 i fratelli Wertheimer divennero soci di Coco Chanel, affiancandola nella distribuzione della linea di profumeria e cosmesi che vide la luce dopo il successo del celeberrimo N°5. 

Partita con una boutique di cappelli nel 1911 in Rue Cambon, a metà degli anni 30 la Maison Chanel contava qualche migliaio di dipendenti, che rimasero però senza lavoro a causa della seconda guerra mondiale:Coco infatti decise di chiudere l’atelier e rimasero in vita solo le attività legate ai profumi, di cui aveva ceduto i diritti ai soci. 

Nel dopoguerra, anche a causa di uno scandalo che la vide legata a membri del nazismo, rimase per anni lontana dal mondo della moda, per farvi ritorno nel 1954, con una collezione dalle linee pulite che si contrapponeva al New Look proposto da Christian Dior. 

Nel 1955 nacque l’iconica borsa 2.55, una pochette trapuntata con una tracolla dorata intrecciata al cuoio.  “Mi sono stancata di dover portare la mia borsa in mano […] quindi ho aggiunto sottili cinturini, cosicché possa essere usata come una borsa a tracolla”.

Coco Chanel, Handbags: What Every Woman Should Know, 2006, p.68)

Per conoscere meglio la storia di Coco Chanel è possibile navigare la vasta sezione a lei dedicata sul sito della maison oppure addentrarsi nella vasta bibliografia prodotta. Personalmente .

Alla sua morte l’attività, di proprietà della famiglia Wertheimer, venne gestita e portata avanti dai suoi assistenti, riscuotendo un successo sempre crescente grazie alla guida di Karl Lagerfeld, che oggi ha lasciato il posto a Virgine Viard, sua storica collaboratrice. 

A 108 anni dalla fondazione la maison ha dichiarato nel 2018 un fatturato che sfiorava i 10miliardi di dollari, con una rete mondiale di più di 200 negozi esclusivamente a conduzione diretta. 

Per comprendere il “valore” dei capi della maison basti pensare che negli ultimi 10 anni il costo di una borsa Classic Medium Flap (la tracolla trapuntata con la chiusura a doppia C) è passato dai circa 2800 euro del 2010 agli odierni 6050 euro, con un balzo vicino al 20% tra il 2019 e il 2020. Questi aumenti rendono in pratica una borsa un investimento con un rendimento largamente più redditizio di qualunque altro, che si tratti di mercato immobiliare o finanziario. Questo anche grazie alla fioritura delle piattaforme specializzate nella rivendita di beni di lusso, che permettono di rivendere facilmente il prodotto, tornando in breve tempo in possesso della propria liquidità.

image credit: the happy sloths

E voi, siete pronte a raccogliere l’eredità di Coco Chanel, investendo nell’iconica tracolla?

FRANCA VALERI: I CENTO ANNI DI UNA ICONA ITALIANA

Il 31 luglio di 100 anni fa, a Milano, nasceva Franca Maria Norsa: in arte Franca Valeri.

Icona italiana, attrice, scrittrice, sceneggiatrice, regista, autrice e straordinaria comica.

Inizia la sua carriera negli anni ’50, “gli anni più belli” li definisce lei in ogni intervista, quelli del dopoguerra, quelli della voglia di fare e delle opportunità.

Ebrea da parte di padre, soffrì molto quando nel ’38 le leggi raziali le impedirono di tornare a scuola e fu costretta, nonostante la sua fosse una famiglia borghese, a nascondersi durante la guerra per evitare le deportazioni. Ricorda sempre quegli anni con malinconia, perché fu un periodo di paura e restrizioni, anche se, come racconta in alcune video interviste, quegli anni li ha vissuti a pieno, con l’incoscienza tipica dei giovani.

La sua naturale comicità però la scopre già prima durate l’adolescenza, quando con le amiche inscena teatrini per amici e parenti. È lì che nasce uno dei suoi più famosi personaggi: la “Signorina snob”.  La passione viscerale per il palco scenico la deve a sua madre, che già all’età di sei anni la avvezza al teatro, portandola alla Scala.

Tra le seggiole degli spettatori, matura sin da bambina la sua decisione di fare l’attrice. La passione per la recitazione e per la musica nascono proprio lì, seduta su quelle seggiole a guardare incantata i personaggi muoversi sul palco a ritmo di musica.

Debutta a Parigi con la compagnia  de i “Gobbi” nel 1949 e definisce quell’esperienza come “la sua esplosione alla vita”.

Dopo la parentesi parigina si trasferisce a Roma e esordisce al cinema con Fellini che la dirige assieme a Lauda in “Luci del varietà”; a questo seguirà una lunga serie di film con grandi attori come Totò o con l’amico e coetaneo,  Alberto Sordi.

Attrice di una bravura naturale, capace di interpretare personaggi uguali ed opposti come la “sora Cecioni” e la “Signorina snob”; la prima popolana e la seconda aristocratica, accomunate però dal modo tutto suo di vedere le donne: argute e pestifere; abile anche nel lasciare il segno in ruoli non da protagonista grazie alla grande intelligenza e al sense of humour che ancora oggi la contraddistinguono.

 Si diletta tra teatro, cinema e televisione anche se non nasconde mai la sua straordinaria passione per quest’ultimo.

Scrittrice proficua, vede all’attivo decine di libri il cui tema comune è spesso il teatro; gli ultimi due volumi, Tutte le commedie, e La Ferrarina. Taverna, in Collezione di teatro, sono editi proprio quest’anno, l’anno dei suoi cento anni di vita.

Oggi vive nella sua casa a Roma, gli anni l’hanno provata nel fisico ma non nello spirito. Rilascia ancora interviste e non smette mai di ribadire che il teatro è stato sempre il suo primo amore. Ha amato naturalmente anche gli uomini, suo marito Vittorio Caprioli prima, e il compagno Maurizio Rinaldi poi ma non avrebbe mai lasciato il suo mestiere per nessun uomo al mondo perché “quando si apre il sipario si apre un mondo che esclude tutti gli altri”.