EMPOWERMENT FEMMINILE: The day of the girls.

Esiste un sito, Worldometer, che fornisce la variazione in tempo reale della popolazione mondiale.

In questo preciso istante, nell’esatto momento in cui sto scrivendo, nel mondo ci sono 7.816.139.615 persone; ovviamente il numero cambia in tempo reale in base alle nascite e ai decessi, ma di base ci sono circa 7 miliardi e ottocentoquindici milioni di anime che vivono sul pianeta Terra.

Secondo uno studio delle Nazioni Unite, aggiornato al 1° luglio c.a., in questo momento sulla terra ci sono più uomini che donne: per ogni 100 donne, infatti, ci sono 101,7 uomini.

Un totale di 3,86 miliardi di donne contro 3,93 miliardi di uomini e si stima che la popolazione mondiale sia diventata a maggioranza maschile già a partire dal 1962.

È facile intuire, quindi che la lotta all’emancipazione femminile non può interessare esclusivamente la sfera adulta ma è un tema che va introdotto molto prima.

In uno scenario globale aggravato dalla situazione sanitaria internazionale, messa in ginocchio dall’emergenza Covid, se pensiamo che, secondo i dati del sito delle Nazioni Unite:

  • “in tutto il mondo, quasi 1 ragazza su 4 di età compresa tra 15 e 19 anni non è occupata né nell’istruzione né nella formazione personale rispetto a 1 ragazzo su 10 della stessa età. Entro il 2021 circa 435 milioni di donne e ragazze vivranno con meno di 1,90 dollari al giorno  –  di cui 47 milioni finiranno in povertà assoluta a causa del COVID-19”,
  • -“1 donna su 3 in tutto il mondo ha subito violenza fisica o sessuale. I dati emergenti mostrano che dallo scoppio del COVID-19, la violenza contro donne e ragazze (VAWG), e in particolare la violenza domestica, si è INTENSIFICATA”,
  • -“Almeno il 60% dei paesi continua a discriminare i diritti delle figlie di ereditare beni fondiari e non terreni sia nella legge che nella pratica”;

Promuovere l’’emancipazione di bambine e ragazze, e il rispetto dei loro diritti umani, è un dovere inalienabile.

Già nel 1995, era stato fatto un notevole passo avanti; alla Conferenza mondiale sulle donne a Pechino, i paesi adottarono all’unanimità la Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d’azione – il progetto più progressista mai realizzato per promuovere i diritti non solo delle donne ma anche delle ragazze. La Dichiarazione di Pechino fu, in effetti, la prima a richiamare specificamente i diritti delle ragazze.

Solo qualche anno più tardi, il 19 dicembre 2011, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 66/170, dichiarava l’11 ottobre la Giornata internazionale delle bambine, per riconoscere i diritti e le sfide che le ragazze si trovano ad affrontare, ogni giorno, in tutto il mondo.

Prima fra tutti, l’uguaglianza di genere.

Hanno diritto a una vita sicura e sana, all’istruzione, alla formazione, hanno diritto ad avere dalla loro parte chi può garantire loro la possibilità di esprimere il potenziale insito in ciascuna di esse.

Sostenerle, soprattutto in età adolescenziale, è un dovere di tutti, perché è anche dalle giovani donne che parte il cambiamento.

Investire nella realizzazione delle ragazze, sostenerne i diritti e garantire loro un futuro equo e prospero è alla base del cambiamento che vorremmo tutti vedere in futuro; perché, come dice il rapporto delle Nazioni Unite, “metà dell’umanità è un partner alla pari nella risoluzione dei problemi del cambiamento climatico, dei conflitti politici, della crescita economica, della prevenzione delle malattie e sostenibilità globale”.

Raggiungere la famigerata uguaglianza di genere è responsabilità di tutti, non solo delle donne. Porre fine a tutte le forme di discriminazione contro il genere femminile è fondamentale per accelerale lo sviluppo sostenibile che innesca un cambiamento positivo a livello globale; basta iniziare dal proprio piccolo, dalla vita quotidiana. Insegnare, ad esempio, ai propri figli che non esiste diversità tra maschi e femmine, sarebbe già un ottimo punto di partenza.

Elena Lucrezia Cornaro Piscopia: prima donna laureata al mondo.

Ci sono storie che troppo spesso vengono dimenticate, vite che hanno segnato la storia ma di cui nessuno parla.

Ne è un esempio, la prima donna laureata al mondo; da vari documenti emerge che fu la nostrana, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia.

Esattamente 342 anni fa, il 25 giugno 1678, l’erudita veneziana, avvezza agli studi già dalla tenera età, spinta agli studi umanistici dal padre, Nobile della Repubblica di Venezia, conseguì il dottorato in filosofia.

In un secolo, il XVII, in cui le donne venivano considerate “accessorie”, cresciute per essere date in sposa e creare legami fra famiglie, Elena iniziò, quasi a sua insaputa, la lotta all’emancipazione femminile.

Svolse quasi tutta la sua carriera universitaria a Venezia, salvo poi trasferirsi a Padova. Il suo percorso non fu affatto facile; donna profondamente religiosa, tanto da aver preso i voti come ordinata benedettina, aveva inizialmente scelto di laurearsi in teologia, ma all’ultimo momento il cardinale Gregorio Barbarigo, che riteneva intollerabile che una donna accedesse agli studi, si oppose fermamente al suo dottorato in teologia – il cui insegnamento era riservato esclusivamente agli uomini. Affermò perfino che “laureare una donna era uno sproposito e avrebbe reso ridicola Padova in tutto il mondo”.

Per questo, dopo non poche lotte da parte della famiglia, si giunse al compromesso che la giovane conseguisse una laurea in filosofia.

Così all’età di 32 anni Elena Lucrezia Cornaro Piscopia sotto la guida del professor Carlo Rinaldini, si laureò in Filosofia, con una tesi dal titolo di “Magistra et Doctrix Philosophiae”. Un dibattito sulla fisica e la logica di Aristotele che si svolse in latino davanti a una commissione composta da 64 membri.

La risonanza e la straordinarietà dell’evento richiamò un’affluenza di pubblico tale che la discussione venne trasferita dall’Università alla cattedrale.

In seguito divenne membro di varie comunità scientifiche in Italia, Francia e Germania, e ormai nota agli studiosi del tempo, venne accolta da alcune delle principali accademie dell’epoca anche se, in quanto donna, non poté mai esercitare l’insegnamento.

Cagionevole di salute morì a soli 38 anni a Padova, il 26 luglio 1684.

12 maggio 1974: il divorzio resta legge

L’1 dicembre 1970, l’ordinamento giuridico, dopo un iter parlamentare lungo
e difficile, conquista la “Legge Fortuna-Baslini, n. 898”, che disciplina i
casi di scioglimento del matrimonio. Viene, così, legittimato il divorzio.
È l’inizio di una trasformazione sociale del Paese, ma la ferma opposizione
dell’Italia cattolica, antidivorzista, non si rassegna alla novità introdotta;
chiede che ci sia una volontà espressa direttamente dai cittadini e raccoglie
le firme necessarie per ottenere la promozione di un referendum abrogativo.
La campagna referendaria, che coinvolge i partiti politici di allora, tutte le
componenti della società civile nonché gli organi di stampa in un durissimo
scontro politico e culturale, durerà quattro anni.

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Domenica, 12 maggio 1974
Lucia non aveva mai avuto bisogno di chiedersi se valesse la pena votare una
legge che consentisse lo scioglimento del matrimonio e, quando la Legge sul
divorzio era stata votata in Parlamento e di seguito promulgata, lei era
rimasta indifferente, forte del suo “sì” pronunciato davanti all’altare cinque anni
prima. Era sposata con Diego dal 1965 e avevano una figlia di otto anni,
Costanza, che era cresciuta in un clima sereno, mai alterato da alcuna crisi
coniugale.
Negli ultimi mesi, in casa, il dibattito sull’opportunità o meno di mantenere la
legge sul divorzio non aveva impegnato soltanto le parti politiche in gioco, ma
anche la sfera privata di milioni di persone, così marito e moglie si
confrontavano ormai quotidianamente sull’argomento, partendo da posizioni
opposte: Diego riteneva che l’unione della famiglia non dovesse essere messa
in discussione, Lucia capiva le ragioni che avevano portato, nel 1970,
all’approvazione della legge ed era critica nei confronti degli oltranzisti di
destra, convinti che quel diritto dovesse, invece, essere negato.
L’opinione pubblica era divisa tra favorevoli e contrari alla possibilità di
sciogliere il matrimonio: sui muri dei palazzi, taluni volantini affissi
recitavano: “SÌ come il giorno delle nozze”, di contro, le manifestazioni nelle
piazze esibivano cartelloni a difesa della libertà ostacolata dalla Chiesa: “I
cattolici non divorziano, i popoli civili sì”, “No alla dittatura clericale”, si
leggeva. Dagli schermi televisivi Enrico Berlinguer, leader del Partito
Comunista, invitava a votare NO sulla scheda del referendum indetto per il 12
maggio e personaggi famosi, fra cantanti e attori, si alternavano negli spot
pubblicitari, contribuendo alla campagna mediatica messa in atto per l’atteso
grande evento: finalmente, gli antidivorzisti erano riusciti a ottenere che si
tornasse alle urne, per votare a favore dell’abolizione della legge sul divorzio.
Quel giorno, quel fatidico 12 maggio, era dunque arrivato.

Durante il pranzo, si accese l’ennesima discussione fra Lucia e Diego sul
referendum in atto. In sottofondo un servizio del telegiornale parlava di
affluenze alle urne.
«Sei incoerente, Lucia: mi hai sposato perché hai sempre creduto nel
matrimonio e adesso hai votato affinché i coniugi abbiano la possibilità di
liberarsi l’uno dell’altro?»
«Oh, ma piantala! Lo fai sembrare un atto criminoso.»
«Lo è.»
«Fammi il piacere, sii serio. E poi dove sarebbe la mia incoerenza? La nostra
unione è salva perché noi andiamo d’amore e d’accordo, siamo una famiglia
solida, crediamo negli stessi principi, ma ci sono unioni meno fortunate, che
hanno esiti diversi: per quale motivo obbligare chi non si ama più, chi vive
problemi che, magari, noi non possiamo conoscere, a rimanere costretti in un
vincolo che li opprime?»
«Il matrimonio è un patto indissolubile e la fedeltà a quel patto è un valore
che non dovrebbe essere discusso. C’è pure la Costituzione che lo dice, mi
pare.»
«Ma può essere anche un’ipocrisia, lo sai bene: per il quieto vivere non si può
sacrificare una sacrosanta libertà di scelta.»
«Scegli quando dici con una fede al dito.»
«Lo fai con dei presupposti ben precisi. Se quei presupposti vengono meno,
cadono anche le ragioni per cui lo porti, quell’anello.»
«Dunque prendi un accordo che è “per sempre”, perché lo prometti, ricordi? e
lo butti dalla finestra, se un giorno pensi di avere commesso una leggerezza:
“Non ho più voglia di stare con questo tizio”: è così che funzionerebbe, lo sai,
no? basterà una scusa qualsiasi, anche un capriccio momentaneo, per
mandare all’aria una famiglia. Tutto si ridurrà a una questione di mero
opportunismo.»
«Non c’è opportunismo nel buon senso e nella difesa della coscienza civile.»
«Il diritto al divorzio farà aumentare esponenzialmente i casi di tradimento.»
«Ma sentilo, e perché?»
«E perché… perché puoi tranquillamente portare avanti la tua storia
extraconiugale, tanto, male che vada, c’è il divorzio a risolvere il problema.”
«E invece è meglio tenersi in casa un marito che ha un’altra fuori dalle mura
domestiche, perché ormai te lo sei sposato?»
«Se non altro i figli continuerebbero ad avere un padre e una madre sotto lo
stesso tetto.»
«Ma che assurdità! L’amore per i figli non può essere un ricatto morale.”
«La famiglia è una corazza che difende i più deboli.»
«E questa? dove l’hai sentita?»
«Cosa dovremmo dire noi a Costanza? dovremmo darle spiegazioni che lei
non comprenderebbe; sarebbe portata a credere di essere l’oggetto
dell’abbandono o di non essere più voluta bene.»
Costanza ascoltava lo scambio verbale fra i genitori a testa bassa.

«Naturalmente, papà ha fatto solo un esempio.» disse Lucia, dopo essersi
accorta che la figlia stava separando in modo meccanico le rondelle di carote
dal resto del contorno, nel piatto.
«Certo, piccola, è così!» l’appoggiò Diego.
I due genitori trovarono subito l’intesa, incrociando gli sguardi.
«Mamma, papà, ma voi rimanete insieme, vero?»
Diego e Lucia le rivolsero un sorriso. In fondo, non erano nuovi a queste
discussioni, avevano idee diverse su molte cose, eppure amore e rispetto
reciproco erano i valori cardinali della loro unione e non erano mai venuti
meno.
«Certo. Rimarremo insieme perché ci vogliamo bene, anche se la pensiamo
diversamente» rispose Lucia, mentre, dal lato opposto, Diego carezzava il viso
della bambina.
«Allora non litigate più. E poi, oggi, è il tuo giorno, mammina!»
C’era una crostata di mele sul tavolo della cucina a ricordare che il 12 maggio
era anche la festa della mamma.

****

Alle urne si reca l’87,72% di elettori. Il 60% si esprime a favore del divorzio.
Vincono i “no” sulla proposta di abrogazione della legge: un’autentica svolta.
L’esito della votazione cambia il volto della società italiana: si afferma con
determinazione la volontà di superare i vecchi schemi ideologici verso una
maggiore laicizzazione di costumi e comportamenti, che aprirà la strada a
una nuova riforma del diritto di famiglia e a leggi di tutela sempre più a
vantaggio della donna.
Finalmente, dopo anni di proteste e di lotte portate avanti anche dal
movimento femminista, viene ridisegnato il perimetro dei diritti per le
persone e per i nuclei familiari, in ottemperanza ai principi di dignità, di
uguaglianza, di democrazia.

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