Giornata Mondiale Contro l’Omobitransfobia

(TW: ci sono delle espressioni violente che potrebbero turbare qualcuno)

17 maggio 1990: l’omosessualità viene tolta dalle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

17 maggio 2004: ha luogo la prima giornata internazionale contro l’Omofobia, ideata da Louis-Georges Tin, curatore del Dictionnaire de l’homophobie.

17 maggio 2020: amare una persona del proprio sesso, sentirsi nati nel corpo sbagliato o semplicemente non adeguarsi agli standard auto-imposti dell’uomo medio occidentale (bianco, etero, vestiti in modo rigorosamente maschile se nati con cromosomi XY/avere i capelli lunghi e un determinato atteggiamento se nati con quelli XX) è la normali– no, scusate, devo essermi addormentata un attimo.

Dicevamo?
Ah, sì, amare qualcuno e l’espressione di sé nel 2020.

Non sono così vecchia, ma ricordo il mondo prima del 2000. Quella data tonda, perfetta, causa di Apocalisse per qualcuno (il famoso “mille e non più più mille” della leggenda che sarebbe diventato un “mille più mille” prima, e il Millennium Bug informatico poi), mondo di auto volanti e forni capaci di idratare una pizza liofilizzata. Il mondo dopo il 2000 era il futuro per eccellenza, credevamo chissà cosa sarebbe avvenuto… e invece nulla è cambiato, abbiamo giusto qualche strumento in più.

Facciamo un gioco.

Pensa di avere cinque anni, è il tuo compleanno e ti è stato detto che puoi chiedere qualsiasi cosa desideri. Immagina che sia una bambola, quella nuova che fanno sempre vedere in tv. Niente di strano, no? Sei una bambina, probabilmente l’avrai senza problemi.
Ora immagina che, invece della bambola, la tua fantasia ti ha spinto a volere quella lucente macchinina nera con le fiamme rosse, anche quella una novità che passa sempre durante la pubblicità. Apri il regalo che ti è stato fatto… e dentro c’è una bambola rosa piena di merletti. Perché sei una bambina, lo hanno detto i dottori quando sei nata, quindi niente macchinine per te, solo bambole o, al massimo, il kit giocattolo per stirare o cucinare.

Un regalo sbagliato, capita a tutti, no? Si sopravvive.
Anno dopo anno.

Hai dodici anni, sei chiusa in bagno dopo aver fatto la doccia e quei capelli che ti toccano le spalle proprio non ti piacciono. Prendi le forbici e dai un taglio netto. Ovviamente è venuto uno schifo, ma così nessun parrucchiere potrà sistemarli senza doverli tagliare cortissimi.
Arrivi in sala, una volta pronta, e i tuoi genitori ti urlano contro vedendo lo scempio che hai fatto ai tuoi “bellissimi capelli” (ma, dal casino che stanno facendo, sembra più che siano i loro bellissimi capelli).
Via di corsa dal parrucchiere.
Nonostante tutto, quando ti guardi allo specchio sorridi. Quello che vedi riflesso è il miglior ‘te’ che puoi immaginare.
Se le urla dei tuoi genitori sono state traumatiche, le risatine delle compagne di classe sono irritanti, e feriscono. Feriscono anche le battute dei compagni, e alcuni degli insegnanti non sembrano voler esser più leggeri.

La prima cotta arriva un paio d’anni dopo. Hai cominciato il liceo da qualche mese, nessuno che conosci dalle medie per fortuna, quindi ti sei preparata a una nuova vita di tranquillità e studio… almeno finché non ti sei accorta che la tua compagna di banco ti fa battere il cuore in modo diverso. Parlarne con qualcuno è fuori questione, sia in casa che tra gli amici hai sentito cosa dicono di “quei pervertiti là”, quegli “scherzi della natura che farebbero meglio ad ammazzarsi”.
Passi i giorni pensando cosa fare, cercando di comportarti normalmente, facendoti mille domande su te stessa. Ancora non sei giunta a una risposta, che qualcuno inizia a notare qualcosa… senti le voci dietro le spalle, i bisbigli, e le occhiate quando passi.
Magari è solo paranoia.
Poi un giorno, la tua amica ti ferma, è seria e non ti guarda in faccia. “È vero quel che si dice?”
“C-cosa?” domandi, fingendo solo in parte di non sapere a cosa si riferisce.
“Che sei diversa… Sì, insomma, che ti piacciono le ragazze… E che hai una cotta per me.”
“Ah ah, ma dai! Ma chi te lo ha detto?! Figurati, non scherziamo!”
La vedi tirare un sospiro di sollievo. “Bene, meno male! Però… forse è meglio se non vengo a studiare da te domani, sai… meglio far passare le voci.”
“Certo, nessun problema!”
Chi ha bisogno delle amiche, in fondo?!

Inizi a credere di avere davvero qualcosa che non va. Forse hanno ragione tutti, devi cercare di essere “normale”.

Devi nascondere una parte di te, ma sembra andare tutto bene, hai pure incontrato un ragazzo carino al pub con cui sei uscita per alcuni mesi ormai. Credevi di non poter provare più certi sentimenti e invece eccoti qui, occhi negli occhi con un ragazzo che è riuscito nell’impresa che credevi impossibile di piacere ai tuoi genitori, e pensi che sì, lo ami. Non stai fingendo per compiacere qualcuno. Vi baciate, finalmente sei contenta, magari le turbe degli anni passati erano solo problemi dovuti agli ormoni, l’adolescenza e tutte quelle storie là. Lui fa scivolare la mano sul tuo ventre, poi giù, sotto i jeans. Lo fermi e ti allontani. A questo non avevi pensato.
“Va bene, tranquilla, possiamo aspettare.” Lui ti sorride e poi ti bacia di nuovo. È proprio l’uomo perfetto.
O così sembra.

Dopo altri mesi, tre, in cui non sei mai “stata pronta” nonostante le tue amiche ti incoraggiassero dicendo che devi solo lasciarti andare e che la tua è solo una forma di pudore, pure abbastanza ridicola, hai scoperto che se la faceva con un’altra.
“Beh, se tu sei frigida non è colpa mia.”

È doloroso, ma passa anche questa.

Ne passano diversi, in realtà, e pure qualche donna di nascosto da tutti, ma la situazione non cambia. Per quanto ti piacciano le persone con cui stai, quell’attrazione e quella voglia di cui tutti parlano non la capisci proprio. È come trovarsi davanti la torta più buona e invitante del mondo e non aver l’acquolina in bocca.
Ti hanno fatta sentire strana, di nuovo, ma ti sembra molto più strano, e anche un po’ schifoso, fare sesso.
Peggio, però, è stato trovarsi davanti donne che, appena saputo che ti piacciono anche gli uomini, si sono allontanate, “tanto prima o poi tornerai da uno di loro, è più comodo così.”

Nel frattempo, hai imparato anche a gestire i problemi che ti dava il tuo corpo, crescendo non hai più dovuto render conto agli altri per i capelli corti e gli abiti maschili. Ti sei informata, sei seguita da uno psicologo e finalmente ne hai trovato uno adatto a te (è stata una bella sfida anche questa, non credevi ci potessero essere certi soggetti intolleranti anche in un ambito dove ci vorrebbe la massima apertura mentale). Prima o poi, troverai anche una persona da amare e capace di amarti per chi sei, a prescindere dal fatto che facciate o meno l’amore. Oramai sei adulta, hai imparato a lasciarti scivolare addosso certi commenti e a combattere per te stessa, anche se certi giorni sono più pesanti di altri e i lividi ci mettono un po’ ad andar via.


Se siete arrivati fino a qui, siete dei fortunati. Avete avuto forza e/o trovato qualcuno che vi ha supportato. Perché quelle scene e frasi, non sono solo poche tappe, sono ripetute, ogni giorno, più volte al giorno.

E molti non hanno questi aiuti; i tentativi di suicidio tra i giovani LGBT è, a seconda degli studi, tra l’1,5% e il 4% più alto dei coetanei etero (più di 34000 ragazzi muoiono ogni anno di suicidio, diventando così la terza causa di morte dei giovani LGBT tra i 15 e i 24 anni).

In Europa, l’Italia sta davanti solo a Croazia e Lituania per quel che riguarda la tolleranza verso persone con un inclinamento sessuale o un genere diverso da quello degli uomini e delle donne eterosessuali. E’ infatti ben il 92% delle persone LGBT che viene discriminato per il proprio orientamento, anche sul luogo di lavoro (è il 35,5% della popolazione LGBTI rispetto al 25,8% degli eterosessuali). Per non parlare delle aggressioni, nel 2019 sono state fatte 83 denunce.

Non basta avere “una legge” che consenta le unioni civili e ci porti sopra paesi in cui, per esempio, l’omosessualità è ancora motivo sufficiente ad esser condannati a morte, perché sia tutto a posto.

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Giornata_internazionale_contro_l’omofobia,_la_bifobia_e_la_transfobia

https://it.wikipedia.org/wiki/Suicidio_tra_i_giovani_LGBT

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/04/violenza-di-genere-omofobia-e-bullismo-lindagine-su-cosa-ne-pensano-gli-italiani-ancora-si-tende-a-minimizzare-i-problemi/4268763/

https://it.wikipedia.org/wiki/Violenza_contro_le_persone_LGBT

http://www.voxdiritti.it/omofobia-i-dati-in-europa/

https://www.gay.it/attualita/news/2019-omofobia-italia

La giornata mondiale del disegno

Detta anche “giornata del disegnatore”, “giornata del disegnatore grafico” o “giorno dello sviluppo umano e creativo”, visto il ruolo che il disegno ha avuto, ed ha tutt’ora, nello sviluppo e apprendimento dell’uomo.

Abbiamo imparato a disegnare prima che a scrivere, sia come umanità tutta basti pensare alle pitture rupestri, che come singoli individui, e l’arte è usata come terapia in molti ambienti.

Purtroppo non è, quello dell’arte terapia, il mio campo, ma ho avuto la fortuna di poter chiedere all’amica Edy Santamaria alcune informazioni:

Nel bambino, a differenza, di altre tappe evolutive, l’arte si concentra sul processo dell’attività artistica. Successivamente l’attenzione si dirigerà più al prodotto che al processo di creazione.
Il bambino non ha preferenze estetiche, non conosce le scuole artistiche, il bambino sa quali materiali gli piacciono o no e quali lo aiutano ad esprimersi non gli interessa il dominio della tecnica , possiamo anche dire che ha ancora la fortuna di non essere “contaminato.” 😉
In genere si identificano le seguenti tappe del disegno infantile: lo scarabocchio(da due a quattro anni) , la distinzione della figura umana e degli oggetti (dai 4 ai 7 anni) , disegni con forme geometriche ( dai 7 ai 9 anni) , la riproduzione della realtà ( dai 9 ai 12 anni)
Vi è poi la tappa pseudonaturalista dai 12 ai 14 anni che segna la fine dell’arte come attività spontanea.

Per fortuna di alcuni, questa attività resta loro spontanea, quasi più che respirare – anche se, certo, la tecnica va affinata con costanza e impegno, o resta solo un passatempo secondario.

Devo dire che trovo, però, difficile pensare che chi ama il disegno riesca mai a vederlo davvero come secondario, anche se ci sono momenti di blocco. E non per la ricerca di fama e onori.

Disegnare è comunicare, e si possono dire molte più cose di quelle che si pensa, il tutto con poche linee e al di là del livello di bravura.

E’ anche un ottimo antistress, provare per credere. E quale giorno migliore della giornata mondiale del disegno per provarci?!

Solo una riflessione…

Davanti alla farmacia (che si trova tra una banca e un negozio di casalinghi piuttosto noto) c’è un comodo parcheggio bordo strada, con passo pedonale tra il parcheggio stesso e i negozi.

Parcheggiare nei posti stabiliti, però, è evidentemente un problema per molta gente: c’è chi allunga sulla zona pedonale, chi sulle strisce, e anche chi decide di fregarsene di tutto e tutti e parcheggiare accanto ai posti delimitati, bloccando così il passaggio per i pedoni (a meno di non fare lo slalom tra le macchine, ovviamente).

Un po’ per problemi personali, un po’ per scelte ecologiche, io vado a piedi -soprattutto nella mia cittadina che conta poco più di 10.000 anime e in cui posso raggiungere tutto quello che mi serve con una piacevole passeggiata di mezz’ora- quindi ho spesso a che fare con l’inciviltà.

A seconda del mio umore e delle mie condizioni di stanchezza, mi posso ritrovare a commentare le uscite più maleducate -in presenza o meno dei colpevoli, a voce decisamente udibile.

Quella sera non stavo particolarmente bene, avevo mal di gola, non troppa voce, e stavo tornando con due sacchetti della spesa non proprio leggerissimi. E un tizio parcheggia nel posto a fianco al parcheggio delimitato, avanzando pure in quello pedonale, proprio mentre stavo arrivando io.

Il tempo che gli son di fronte, lui e la tizia con cui era son scesi di macchina.

“E’ passaggio pedonale,” li informo, senza fermarmi.

“Eh?” La donna mi guarda.

“E’ passaggio pedonale,” ripeto e continuo per la mia strada.

Sento un “E beh?” o “E quindi?” o un’espressione del genere da parte dell’autista, ma decido di non continuare -anche se un po’ me la prendo con me stessa per questo.

Son abituata alla maleducazione, son abituata ad odiarmi per non aver difeso fino in fondo una cosa che reputo giusta, ma quello che più mi lascia basita è che se ci ripenso la risposta che mi viene è: “E’ un passaggio pedonale, stronzo figlio di p-”

E allora mi fermo, perché non è giusto mettere in mezzo persone non presenti e che potrebbero benissimo non entrarci nulla con l’ignoranza (non quella culturale) di chi hanno cresciuto e ha superato la maggiore età da diversi decenni. E credo anche seriamente che dobbiamo essere noi per prime a usare le parole giuste, non lasciarci guidare dall’abitudine e dai comuni modi di fare, che come dicono gli inglesi “il senso comune non è così comune” (parlano del buon senso, ma credo ci rientri anche questo).

Non esiste un termine specifico al maschile, oltre stronzo (che può comunque esser declinato anche al femminile), che vada a identificare solo il soggetto colpevole di azioni riprovevoli. E non sarebbe nemmeno una questione interessante da discutere, se non ci fossero così tante alternative femminili (di cui la bravissima Paola Cortellesi ci dà un estratto in un diffuso monologo).

Invece continuiamo a portare avanti un linguaggio sessista anche tra di noi, anche parlando di uomini che sono definiti in negativo solo per via della donna da cui sono nati (quindi non sono loro, intrinsecamente, negativi. E’ colpa di chi sta attorno al buco da cui sono nati). E quando viene fatto notare, se viene fatto notare, siamo noi le esagerate –ovviamente.

Mi sento un po’ Don Chisciotte contro i mulini a vento, anche se ci sono già diverse realtà che portano avanti la lotta ad un uso più consapevole delle parole, ma spero di non farmi mai abbattere su questo.

Comunque, se proprio vogliamo mantenere un tono forte (e a volte, con tutte le buone intenzioni, è necessario), io proporrei di iniziare ad usare “pappone” e “lenone” come nuovi insulti. Non dovrebbe esser nemmeno una novità, su chi è peggio tra questo e una prostituta.